Una storia lunga un anno e anche di più. Raccontarsi e raccontare per conoscere e imparare

Settembre, è tempo di ricominciare. Al via il nuovo anno scolastico: sulla linea di partenza docenti e alunni, ma anche famiglie e personale non docente.
Il nastro del traguardo si taglierà a giugno, ma di che traguardo stiamo parlando? Nuovi apprendimenti, nuove competenze, votazioni, numeri?

Come psicoterapeuta posso parlare solo di persone, posso auspicare che il traguardo sia sempre e comunque la crescita personale di ognuno, e questo vale sia per i bambini che per gli adulti. E la crescita è sia cognitiva ma soprattutto emotiva, e si valuta in competenze maggiori nella conoscenza di se stessi e degli altri, nella capacità di relazionarsi, di gestire i conflitti, di mediare e di empatizzare.
Se parliamo di crescita, dobbiamo innanzitutto conoscere qual è il punto di partenza di ogni singolo alunno, ma anche interrogarsi su di esso come insegnanti o genitori, interrogarci sulla nostra e loro “storia”. E questo è oltremodo prezioso e importante nel primo mese di scuola, perché permette la conoscenza reciproca e di avere in mente e ben chiara la “storia” della classe.
Credo che, qualora si desideri lavorare in un’ottica realmente inclusiva, non si possa prescindere dal conoscere le storie di tutti i propri alunni e non solo di quelli con bisogni specifici, di cui arrivano relazioni, certificazioni e quant’altro, ma anche degli alunni più silenziosi, più capaci, più attenti: tutti hanno bisogno che l’insegnante, i compagni, la classe conoscano il loro mondo.
Quando si formano le nuove classi, dall’infanzia, alla primaria, fino alla secondaria, si dà un certo spazio alla conoscenza di ognuno, perché si tratta di alunni mai visti dagli insegnanti (e di insegnanti mai visti dagli alunni). nel primo anno del ciclo si dà per certo che ci sia una novità da scoprire, che si debbano gettare le basi per costruire un buon clima di classe. Nei primi mesi già si creano i primi ruoli (il bambino distratto, il ragazzo iperattivo, lo studente modello, ecc.) e anche nella mente degli alunni gli insegnanti vengono classificati (l’insegnante dolce, quello che riempie di compiti, quello che interroga sempre, quello che sgrida). Il rischio è che, se non ci si dedica sempre alla ricerca delle “storie”, ci si possa bloccare a questi ruoli. Il bambino distratto rimarrà sempre “distratto”, dalla prima alla quinta, e cosi pure il professore “antipatico” non riuscirà mai a sorridere dalla prima media fino agli esami di terza.
Mi viene da suggerire di monitorare le storie mese per mese, anno per anno.
I cambiamenti, soprattutto nelle fasi di crescita, ci sono sempre, sono continui. A settembre, in una seconda elementare, non troveremo gli stessi alunni che abbiamo lasciato a giugno al termine della prima; hanno lo stesso nome, qualche caratteristica ancora ce li ricorda, ma non sono più quelli. E questo è ancora più evidente quando parliamo di preadolescenti ed adolescenti.
Come facciamo allora a monitorare i cambiamenti?
Di solito ad inizio di anno scolastico si chiede agli alunni di raccontare le vacanze con un tema o un disegno, soprattutto per i più piccoli, insomma la loro storia recente. Può essere un buon inizio. Il punto su cui riflettere è questo: cosa ne facciamo di quei disegni e di quei temi?
Se l’insegnante li legge, li osserva in disparte, avrà sì acquisito delle informazioni importanti, ma che serviranno solo a lui o lei. Diverso è il caso in cui di quei racconti e di quei disegni si possa discutere tra gli alunni insieme agli insegnanti.
Si potrebbe partire da un circle time sul tema e invitare gli alunni a raccontarsi, non tanto per sapere cosa hanno fatto nei due mesi estivi, ma per farli soffermare su come e quanto siano cresciuti, stimolandoli a rammentare eventi emozionanti, e soprattutto relazioni, nuove amicizie e anche nuovi amori. Ovviamente se un alunno non desidera parlare di sé, e ci possono essere mille motivi, non andrà spinto a farlo. Non si tratta di svolgere un compito, ma è un’occasione per conoscersi, soprattutto a livello emotivo, e per creare, come dicevo, “la storia” della classe che si modificherà con i giorni e con i mesi per arrivare a giugno del tutto diversa.

Settembre è il mese di progettazioni, programmi e obiettivi a medio e lungo termine. Potrebbe essere utile, per lavorare serenamente poi sugli apprendimenti, anche prevedere dei “cerchi emotivi” a scadenza bisettimanale o mensile che possano essere un momento importante per discutere dei rapporti tra gli alunni e tra alunni e insegnanti. Quando poi ci sarà un grado di conoscenza maggiore tra tutti , si potrà chiedere agli alunni non di parlare di sé, ma di presentare un compagno, di descriverlo, questo facilita il processo di empatia, lo stare nei panni dell’altro. È probabile che alunni diversi coglieranno aspetti diversi di uno stesso compagno e questo potrà essere d’aiuto per comprendersi meglio, guardandosi da un’altra prospettiva. Sembra un invito complesso, ma in realtà, sin dalla scuola primaria, i bambini sono in grado di farlo, vanno solo stimolati poiché spesso invece tendono a guardare al loro spazio personale.
Piano piano è possibile introdurre al racconto di sé anche gli alunni che hanno storie particolari, ad esempio i bambini adottati che, spinti da un clima di condivisione e ascolto, potrebbero trovare la fiducia e il coraggio di affrontare argomenti importanti da elaborare.
Il Circle Time che suggerisco non è un modo per fare psicoterapia di gruppo in classe, non è il contesto adatto e ovviamente non è compito della scuola gestire una simile iniziativa, ma si tratta più semplicemente di un invito a creare uno spazio di riflessione sulle emozioni e sulle relazioni, perché solo creando un clima emotivo sereno si può pensare di lavorare sull’apprendimento di conoscenze e competenze.

 

Articolo pubblicato sul numero 95 di settembre 2019 della Rivista telematica www.lascuolapossibile.it

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